Amazon non paga le tasse: come fa?

Matteo Roncaglio
6 min readJul 8, 2020

Nel 2018 Amazon ha pagato $0: come ha fatto?

“Ecco per non pagare le tasse metti le mani tipo così e poi fai peeepeepooo” — Jeff Bezos

Prima di tutto, è importante fare una distinzione tra l’evasione e l’elusione.

L’evasione è un comportamento illegale con cui un’azienda occulta i propri redditi alle autorità, mentre l’elusione è l’utilizzo da parte di un’azienda di metodi legali per abbattere il proprio imponibile tassabile.

E’ importante ricordare come una sentenza della Corte Suprema americana del 1992 avesse stabilito come gli e-commerce fossero esentati dal versamento delle imposte. Questo ha permesso ad Amazon e a decine di altre aziende di vendere per anni senza venire vessati da alcuna tassazione. La legge è poi cambiata nel 2017, ma ciò non ha impedito ad Amazon di avvantaggiarsi di alcuni regimi fiscali. La legislazione americana contiene 30 pagine relative al tipo di imposte ed al loro ammontare e ben 6000 pagine relative alla riduzione, alle deduzioni ed ai crediti d’imposta che si possono ottenere.

Non stiamo parlando di finanziamenti diretti dello stato alle aziende o saremmo in una situazione di “capitalismo clientelare” tanto cara invece all’economia italiana.
Stiamo parlando semplicemente di riduzioni della base imponibile subordinate a determinati obiettivi funzionali allo stimolo dell’attività economica, alla creazione di lavoro ed all’innovazione.

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Sostanzialmente non dobbiamo vederla come un loophole nella legislazione: è proprio la legislazione americana con la sua imposizione fiscale che funziona at its finest permettendo all’economia di funzionare e correre.

Senza alcun tipo di elusione Jeff Bezos, nel 2018, avrebbe avuto un imponibile (cifra tassabile) di $11 miliardi aumentati a $13.6 miliardi nel 2019. Che sono stati poi ridotti poi a $0 e, anzi, ha poi ricevuto dal governo tax refund per $129 milioni.

Per capirci: se avete pagato l’iscrizione ad Amazon Prime ($119), avete pagato più voi ad Amazon di quanto Amazon abbia pagato allo stato americano. È incredibile.

Consideriamo anche che, nel 2019, Amazon aveva riportato vendite per $280.5 miliardi. Non cifrette.

METODI USATI DA AMAZON

1. Credito d’imposta

Le imposte, ovviamente, si pagano solo sui profitti. Amazon evita di far figurare profitti (lecitamente) in quanto reinveste tutti i profitti all’interno dell’azienda.

Il governo americano ha riconosciuto ad Amazon $1.7 miliardi di tax credit. Cosa significa? Che Amazon abbatterà l’imponibile tassabile per quell’ammontare.
A cosa sono dovuti questi tax credit? Agli investimenti in ricerca e sviluppo.

Amazon svetta in cima alle classifiche delle aziende per investimenti in ricerca e sviluppo con $22.6 miliardi seguita a ruota da Alphabet (Google) con $16.6 miliardi.

Capiamo bene dunque il volume di innovazione che Amazon sta portando nella logistica in generale e che sta rivoluzionando il modo di lavorare di ogni corriere.

🇮🇹 E in Italia? Da noi non sarebbe possibile, in quanto il credito d’imposta per ricerca e sviluppo è riconosciuto in misura pari al 12% delle spese con un massimo di 3 milioni di euro.
La percentuale addirittura scende al 6% con un massimo di 1.5 milioni di euro per le attività di innovazione tecnologica finalizzate al miglioramento di prodotti e processi.

2. Perdite

Amazon nel 2019 ha subito perdite per $627 milioni riportate da anni precedenti, permettendogli una riduzione dell’imponibile.

🇮🇹 In questo caso la legislazione italiana è molto simile e, pur con qualche differenza, nulla che ha senso analizzare qui.

3. Compensazioni con azioni

Amazon paga i dipendenti che ricoprono posizioni più importanti (e dunque con stipendi più costosi) con azioni o attraverso delle stock options piuttosto che in denaro.

Possono dunque scrivere a bilancio le azioni/opzioni come costo per l’azienda. Questo metodo ha fatto risparmiare circa $1 miliardo in tasse nel solo 2018.
Inoltre, più il valore del titolo sale, maggiore è l’importo che potranno portare a bilancio come spesa.

Questo dà un vantaggio doppio. In primis offre un vantaggio di tipo fiscale, ma soprattutto offre un vantaggio enorme per via del costante incentivo che gli amministratori hanno nel lavorare bene: il valore della loro quota di azioni è strettamente connesso al loro lavoro e, dunque, tutti i passati ricavi ottenuti sono collegati a come l’azienda crescerà in futuro.
Non solo funge da incentivo, ma diventa di fatto un obbligo il continuare a migliorarsi giorno dopo giorno.

🇮🇹 Qui, purtroppo, l’Italia offre un quadro desolante. Ai sensi dell’art.51 del TUIR, il pagamento in azioni verrà tassato esattamente come ogni altro reddito in campo al dipendente in quanto “beneficio derivante dalla condizione di lavoro subordinato” a meno che non sia inferiore a €2.065.83.
Un’altra limitazione è quella relativa al tempo: le azioni ricevute dal dipendente non possono essere cedute per un periodo di 3 anni successivi all’attribuzione.

Virgin Jeff che paga le tasse vs Chad Bezos che investe ed ottiene crediti d’imposta

4. Accordi con gli stati

Chiaramente Amazon ha un potere contrattuale anche nei confronti degli stati che pochissime altre aziende hanno.
In questo caso particolare, ha ottenuto degli “sconti” sulle tasse per un totale di $600 milioni tra il 2005 e il 2014 dal New Jersey per costruire lì i nuovi magazzini.
Inoltre, ha ottenuto altri $147 milioni in crediti d’imposta sempre per costruire i data center in giro per il paese.

Teniamo bene a mente che Amazon è un colosso da $700 miliardi: non propriamente un’azienda che arranca.

CONCLUSIONE

Non dimentichiamoci che Jeff Bezos è figlio di una ragazza madre che è stata abbandonata dal padre a 16 anni e che, oggi, gestisce il più grande negozio del mondo. Solo l’America permette una cosa simile.

Amazon non fa nulla di illegale. Semplicemente si avvantaggia di deduzioni, inventivi per gli investimenti in ricerca e sviluppo e compensazioni per i dipendenti.
Tanto che, tecnicamente, ha pagato $1.18 miliardi di tasse locali, di stato e relative agli stipendi. Ha evitato di pagare solo le tasse che la legge gli permetteva di non pagare se venivano rispettati certi parametri.

Amazon non è la sola azienda ad avvantaggiarsi di determinate norme fiscali. General Motors, Southwest Airlines e Goldman Sachs hanno riportato bilanci simili dal 2008.

Consideriamo che, tra le aziende che compongono l’indice S&P500 e che dovrebbero subire un’imposizione del 35%, quella reale è pari al 22%. 48 aziende addirittura hanno subito un’imposizione inferiore al 10%. Sostanzialmente tutte le grandi aziende si avvantaggiano di regimi fiscali agevolati all’interno dei limiti imposti dalla legge.

Amazon, tramite il suo portavoce, ha dichiarato “abbiamo pagato tutte le tasse che era necessario pagare negli USA e in tutti i paesi in cui abbiamo lavorato per un totale di $2.6 miliardi in corporate tax e riportando $3.4 miliardi pagati negli ultimi 3 anni” sottolineando poi anche l’importanza che l’azienda ha nella creazione di lavoro negli Stati Uniti e nei paesi in cui opera.

Concludendo, non perderei tempo a chiedermi quante tasse paghi Amazon. Chiediamoci piuttosto se, senza un regime fiscale come quello americano, Amazon sarebbe l’azienda che è? Se Jeff Bezos si fosse chiamano Giuseppe Benzoni e fosse nato in Italia, avrebbe avuto la stessa possibilità di emergere e di creare ricchezza per tutti?

Domandiamoci come possiamo remare per far avere queste opportunità anche nel Vecchio Continente. Per il bene di tutti.

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Matteo Roncaglio

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